I tassi negativi
A seguito della grande crisi e della successiva deflazione che ha colpito la finanza globale nel 2007-2013, il tasso di interesse negativo è divenuto una realtà non più teorica. L’allontanamento della finanza dall’economia reale ha portato a distorsioni quali i tassi negativi, complessi sia dal punto di vista tecnico che giuridico.
Il tasso di interesse si definisce come la “remunerazione del costo finanziario del tempo e del rischio di investimento”. Nel caso di un titolo privo di rischio (risk free asset), il tasso equivale al semplice costo finanziario del tempo: questi titoli possono essere i titoli di Stato, o altri emessi da istituti di credito con rating AAA.
Questa prima definizione non spiega la possibilità di un tasso di interesse negativo, il rischio o il tempo non possono essere definiti con un valore negativo. I tassi negativi sono chiamati “tassi nominali negativi”, seguendo la differenziazione finanziaria tra tassi reali e tassi nominali:
- tasso reale: remunerazione del capitale non influenzata dall’inflazione;
- tasso nominale: utilizzato dal mondo finanziario, indica la remunerazione prevista dopo l’aggiunta del componente inflattivo.
Nell’equazione di Fisher, il tasso di interesse nominale diventa quindi il tasso reale sommato al tasso di inflazione attesa.
£$r_n = r_r + \pi$£
Nel caso di aspettative deflazionistiche, il fattore p diventa quindi negativo, rappresentando la deflazione attesa. Il costo finanziario del tempo è influenzato dalla deflazione, che porta gli istituti bancari a rimandare le operazioni nella speranza di un contenimento futuro dei prezzi. Sia tecnici che giuristi trovano non pochi ostacoli alla comprensione di questo nuovo ordine finanziario rovesciato e dei suoi risvolti nelle dinamiche contrattuali.