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È col naso così, che sono nato? No. Il mio naso si è spostato dopo.
Era il 1956, o il 1957? Non ne sono sicuro.
Avevo nove o dieci anni. Ero un bambino.
Il paese in cui abitavo era Edolo, Valcamonica, Lombardia, Italia, in mezzo a
(5) verdi alte montagne.
La linea ferroviaria che arriva a Edolo, finisce lì. Non va oltre. I binari, dopo
cento o duecento metri dalla stazione, finiscono, contro una specie di
trabiccolo metallico. Fine della ferrovia.
Era un posto bellissimo per giocare. Ci giocavamo nel pomeriggio, fino quasi a
(10) buio, con le bande. Le bande eravamo noi, divisi in due gruppi nemici. Non
ricordo come si chiamavano le bande, ma certo i nomi dovevano essere quelli
di qualche gruppo o tribù, presi dai film che vedevamo alla domenica
pomeriggio. Nessuno aveva ancora la televisione in casa: la televisione era solo
nei bar. Noi vedevamo i film al cinema dell'Oratorio, e tornando a casa,
(15) giocavamo a quello che avevamo veduto.
Io ero il capo di una banda. Non so perché fossi io il capo: non credo di essere
stato il più forte, più veloce o più coraggioso degli altri. Però a scuola scrivevo dei
bei pensieri. Non immaginavo ancora che da grande avrei fatto lo scrittore,
però scrivevo bei pensieri. Insieme ai pensieri, avevo le parole, e le parole
(20) servono, per fare il capo. Uno senza parole, che capo è? Forse è per questo che
ero il capo della banda.
Le bande combattevano una contro l'altra. Non mi ricordo se ci fossero dei
motivi, ma forse non ce n'erano. Le bande si combattevano perché erano
nemiche, ed erano nemiche perché si combattevano. Ci si cercava, ci si
(25) catturava. Non ricordo cosa facessero quelli della banda nemica quando
catturavano uno di noi. Però ricordo quello che facevamo noi ai prigionieri. Gli
facevamo un processo nella nostra tana.
La tana della mia banda era un vagone abbandonato, di legno vecchio e
malandato. Era un vagone per il trasporto del bestiame, ma nessuno ci
(30) trasportava più niente. Stava da anni alla fine del binario, dimenticato dal
mondo, sotto la pioggia e la neve, o sotto il sole. L'ingresso era aperto, perché il
portellone era bloccato. C'era, a una certa altezza su uno dei lati del vagone,
una finestra rettangolare, molto più larga che alta, chiusa da uno sportello di
legno che si apriva verso l'interno, facendo perno sul lato inferiore. Io non
(35) avevo mai notato quello sportello, né come si apriva: perché era sempre stato
chiuso, e perché io andavo in quel vagone a giocare e non a guardare gli
sportelli.
Quando catturavamo un prigioniero lo portavamo nella tana e gli facevamo il
processo. Essendo il capo della banda, io ero anche il capo del processo. Ero io
(40) che interrogavo il prigioniero. Non ricordo che cosa gli chiedevo, ma dovevano
essere cose che lui non poteva rivelare.
Un giorno, dunque, catturammo uno della banda nemica e lo portammo nel
vagone, per fargli il processo.
Lo guardai con disprezzo, anche se credo che questo, per un giudice, non sia
(45) regolare, e dissi "Si inizi il processo!". Ricordo con precisione le parole. "Si inizi
il processo!". Poi, per dare più forza al mio ordine, feci una cosa. Non so se la
feci per la prima volta, o se l'avevo fatta altre volte: se l'avevo fatta, le altre
volte non aveva avuto conseguenze. Quella volta le ebbe.
Ma cosa feci? Dopo aver detto: "Si inizi il processo!", diedi un gran colpo
(50) all'indietro, con il tallone, alla parete del vagone.
Sentii una botta tremenda sul naso. Credo di aver visto le stelle. Lo sportello del
carro bestiame, al calcio, si era aperto all'interno, ribaltandosi sulla mia faccia.
Sul naso, precisamente. Non ricordo con precisione, ma credo di aver sollevato
le mani, e di aver spostato lo sportello. Ero molto intontito.
(55) A quel punto, tutti scoppiarono a ridere. Questo lo ricordo bene.
Ricordo che gridai:
"Non ridete!".
Invece continuavano a ridere. io ero spaventato, e arrabbiato per quelle risate.
Ricordo che tornai a casa da solo. Il naso non mi faceva molto male, e aveva
(60) solo un segno rosso. Nei giorni seguenti continuavo a toccarmi il naso, per
sentire se era rotto. Ma non lo era. Non mi accorsi però che il naso si era
spostato, e nessun altro se ne accorse, perché non si era spostato molto. Me ne
accorsi qualche tempo dopo, parecchi anni: uno che mi guardava disse: "Lo sai
che hai il naso un po' da una parte?". Io andai davanti a uno specchio, ed era
(65) vero.
Ecco come si è spostato il mio naso: fu colpito dallo sportello di un tribunale
ferroviario e bestiale, all'inizio di un processo.
(Tratto e adattato da: Roberto Piumini, Il processo e il naso, in "Quando avevo la tua età", Milano, Bompiani, 1999)