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Accento e apostrofo: le differenze

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Accento e apostrofo svolgono ruoli distinti e molto spesso si confondono tra loro. La corretta applicazione di entrambi questi segni ortografici è fondamentale per garantire la fluidità e l’accuratezza della comunicazione scritta. Quando bisogna segnare l’accento? E l’apostrofo? Allenati a metterli sempre al posto giusto, anche sui monosillabi più antipatici.

Questo articolo fornirà una panoramica dettagliata sull’uso e sulle regole di entrambi, affrontando i casi più comuni e le eccezioni. Scopri la differenza tra accento grafico e accento tonico, allenati a distinguere i casi di elisione da quelli di troncamento e non fare confusione con i monosillabi: accenti e apostrofi vanno messi al posto giusto!

Accento e apostrofo: le differenze

L’accento e l’apostrofo sono due segni ortografici della lingua italiana che, pur avendo funzioni diverse, sono spesso fonte di confusione per molti. Ecco le principali differenze tra i due:

L’accento indica la sillaba su cui cade l’enfasi fonetica all’interno di una parola. Esistono diversi tipi di accenti in italiano: l’accento grave (`), come in “perché”, e l’accento acuto (´), come in “caffè”. La presenza di un accento può anche distinguere parole altrimenti identiche ma con significati diversi, come “ancora” (aggettivo) e “ancóra” (avverbio). L’accento si trova sulla vocale della sillaba tonica della parola.

In italiano, gli accenti grafici utilizzati sono principalmente due: grave e acuto. Alcune parole necessitano dell’accento per distinguerle da altre (es. “è” verbo essere e “e” congiunzione). Per quanto riguarda l’utilizzo non tutte le parole accentate nella pronuncia hanno un accento grafico in italiano. Solo alcune categorie di parole (come gli avverbi in -mente, alcune parole monosillabe, ecc.) lo richiedono per distinzione o per norme ortografiche.

L’apostrofo invece indica l’elisione di una vocale alla fine di una parola quando la parola successiva inizia con una vocale o una “h” muta. Questo serve per facilitare la lettura e la pronuncia. Ad esempio: “l’amico” invece di “lo amico”. Si trova tra due parole, alla fine della prima parola, indicando la caduta di una vocale.

A differenza dell’accento per l’apostrofo non esistono tipologie diverse di apostrofo in italiano. La sua forma è unica e invariabile. Viene utilizzato principalmente con articoli e pronomi elisi (l’amico, d’oro), con forme verbali elise (nell’ = in + l’, sull’ = su + l’) e in alcune espressioni fisse (po’ = poco)

L’accento grafico

Tutte le parole hanno una sillaba che si pronuncia con maggiore intensità, quella su cui cade l’accento tonico. Le altre sillabe sono dette atone perché si pronunciano con intensità minore.

Le parole italiane si distinguono in:

  • tronche: se l’accento cade sull’ultima sillaba e quindi va scritto (città);
  • piane: se l’accento cade sulla penultima sillaba (gioco);
  • sdrucciole: se l’accento cade sulla terzultima sillaba (bambola);
  • bisdrucciole: se l’accento cade sulla quartultima sillaba (telefonami);
  • trisdrucciole: se l’accento cade sulla quintultima sillaba, ma gli esempi sono pochi (recitamela).

Senza accento tonico è impossibile pronunciare qualsiasi parola, eppure nella maggior parte dei casi non viene scritto.

Ci sono però delle parole su cui l’accento tonico deve essere segnato anche graficamente e per questo si chiama accento grafico. Quali?

  • Le parole tronche di due o più sillabe
  • I monosillabi che finiscono con più di una vocale ad eccezione di qua e qui
  • I composti di tre, re, blu e su.

Accento acuto e grave

Ti ricordi che, quando hai studiato la pronuncia delle vocali, hai iniziato a capire la differenza tra accento acuto e accento grave? Scopri ora quando questi accenti vanno scritti perché cadono sull’ultima sillaba:

  • l’accento acuto va segnato solo sulla E finale chiusa, come quella di perché, né, sé, ventitré…
  • l’accento grave si usa invece sulla E finale aperta e su tutte le altre vocali. In italiano, infatti, la O finale accentata è sempre aperta e dunque vuole sempre l’accento grave. Scriverai quindi caffè, però, città, così e virtù.

Quando usi la tastiera di un PC al posto della penna, non dimenticarti le regole degli accenti. I tasti per l’accento grave e quello acuto ci sono, basta usarli correttamente!

Dove cade l’accento?

Di fronte ad alcune parole ti sarà spesso capitato di chiederti: “Dove va l’accento?”. Certo nello scritto non è un problema, dato che l’accento va segnato solo quando cade sulla sillaba finale. Raramente, infatti, ti capiterà di dover mettere l’accento tonico per distinguere prìncipi e princìpi: basterà il contesto per capire se si tratta degli eroi delle favole o dei fondamenti di una certa dottrina. Ma come fare a evitare “figuracce” nel parlato?

Mentre ti rilassi sull’amàca, per esempio, puoi vedere un bel bocciòlo di fiore pronto per schiudersi e sentire il verso del cucùlo.

Quando mangi l’àrista di maiale, puoi usare la mollìca del pane per fare la scarpetta.

Se ti rompi l’osso che va dalla spalla al gomito, quello è l’òmero e non ha nulla a che vedere con il poeta greco Omèro.

Per segnare i numeri di telefono dei tuoi amici usi la rubrìca dello smartphone.

Se vuoi convincere qualcuno a fare qualcosa lo devi persuadére, se invece vuoi distoglierlo da un proposito lo devi dissuadére.

Insomma far cadere l’accento al posto giusto è meno facile di quello che potrebbe sembrare! Scarica la scheda a lato per non sbagliare:

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Dove mettere l’apostrofo: l’elisione

L’elisione è la caduta della vocale finale di una parola e si verifica quando la parola successiva inizia per vocale o per H. Il segno grafico che la indica è l’apostrofo.

Avviene per esempio con gli articoli determinativi lo e la (l’orologio) e le relative preposizioni articolate (nell’attimo), con l’articolo indeterminativo femminile una (un’ora) e gli aggettivi indefiniti suoi composti (nessun’altra), con gli aggettivi dimostrativi questo e quello (quell’anno), con l’avverbio ci seguito da forme del verbo essere (c’è) e con la congiunzione anche seguita da pronomi personali (anch’io).

L’elisione è vietata, invece, davanti a parole che iniziano per I seguita da un’altra vocale (lo iodio), con i pronomi personali le e li (le avverto) e con articoli e aggettivi dimostrativi plurali (gli atleti).

Attento poi agli apostrofi più dispettosi! Nella scheda trovi alcune espressioni che spesso suscitano molti dubbi, scarica il pdf qui:

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L’apostrofo: il troncamento

Il troncamento (o apocope) è la caduta di una vocale o di una sillaba in finale di parola che si verifica indipendentemente da come comincia la parola successiva.

L’unica condizione che lo impedisce è che la parola seguente inizi per S impura (cioè seguita da un’altra consonante), X, Z, GN o PS.

A differenza dell’elisione questa caduta non si lascia alle spalle il segno dell’apostrofo.

Il troncamento avviene:

  • con l’articolo indeterminativo maschile uno e i suoi composti (un attimo, qualcun altro);
  • con tale e quale (tal giorno, qual è);
  • con buono e bene (buon uomo, ben fatto);
  • con quello, bello e santo seguiti da consonante (quel giorno, bel momento, san Paolo);
  • con frate, suora , dottore, signore, professore e altri titoli seguiti da nomi propri (fra Cristoforo, suor Teresa, dottor Rossi, signor Ferrari, professor Bianchi);
  • in espressioni come amor proprio, fil di ferro, in fin dei conti, fior fiore, mal di testa, man mano…

I monosillabi

Alcuni monosillabi hanno due forme, una accentata e l’altra no, con funzioni e significati diversi. Studiali nella tabella a lato.

Come vedi, in alcuni casi invece dell’accento bisogna usare l’apostrofo. Si tratta di casi particolari di troncamento che vogliono l’apostrofo: gli imperativi dei verbi dare, dire, fare, stare, andare (da’, di’, fa’, sta’, va’) a cui si aggiunge po’ che sta per poco. Come po’ si comportano anche mo’ (modo) e be’ (bene).

Per non fare confusione scarica la scheda qui:

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