Caricamento in corso...
Intervista a Chiara Gabbi per il Mese delle STEM.
Ecco con un altro appuntamento con “Le studentesse vogliono contare”, la rubrica speciale in cui proponiamo una serie di interviste per offrire alle studentesse esempi di leadership al femminile.
Questa intervista è contenuta nel libro “Le ragazze con il pallino per la matematica“.
Chiara Gabbi, è un medico specialista Medicina Interna, dottore di ricerca in Scienze Mediche, e associata presso il Karolinska Institutet di Stoccolma. Ha passato gran parte della sua carriera all’estero prima in Svezia presso il Karolinska Institutet dove ha conseguito un master e il PhD in Scienze Mediche, poi, per 6 anni, negli Stati Uniti dove è stata Research Assistant Professor presso l’Università di Houston in Texas.
Chiara si occupa di malattie del fegato, e in particolare studia come gli ormoni sessuali e il colesterolo contribuiscono alla genesi di alcune neoplasie del fegato e della colecisti. Per la sua attività di ricerca ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti internazionali ed è autrice di numerose pubblicazioni scientifiche. Nel 2011 ha fondato Young-ISSNAF, il network della Fondazione ISSNAF (Italian Scientists and Scholars of North America Foundation – www.issnaf.org) costituito da giovani ricercatori italiani under-40 operanti negli Stati Uniti e Canada, che oggi conta più di un migliaio di membri. Missione della Fondazione è di promuovere l’iterazione e la cooperazione tra i ricercatori italiani attivi in Nord America e in Italia, a servizio del progresso scientifico e tecnologico.
Ho frequentato il liceo scientifico “Lazzaro Spallanzani” a Reggio Emilia
Matematica: materia preferita fin da piccolissima grazie a mia nonna materna che mi introdusse al mondo dei numeri come se fosse un gioco. E in effetti, lo è! Imparai le tabelline prima che a leggere e scrivere.
Ho studiato Medicina all’Università di Modena e Reggio Emilia, dove mi sono anche specializzata in Medicina Interna. Ho poi approfondito i miei studi a Stoccolma presso il Karolinksa Institutet per poi trasferirmi negli Stati Uniti.
Ho scelto la carriera medica, dedicandomi in modo particolare alla ricerca, spinta da un grande desiderio di conoscere. Desiderio che si è poi trasformato in un bisogno di dare nuove risposte ai pazienti, aiutandoli nel loro percorso di guarigione.
Per la curiosità di conoscere e per il desiderio di avere il meglio, sia in termini di formazione che in termini professionali. Lavorare all’estero e venire a contatto con persone diverse per origini e cultura, apre enormemente il cuore e la mente. Ed è un’esperienza di grande crescita personale oltre che professionale. Lo consiglio.
Credo che, sia come singoli che come società, siamo anche il frutto di chi ci ha preceduto. Non sento quindi particolare interesse nel conoscere personaggi storici: i loro esempi e le loro parole vivono con noi quotidianamente. Basta farci attenzione. Al contrario, vorrei tanto conoscere personaggi futuri. Vorrei incontrare la prima donna che andrà su Marte e sogno di conoscere chi sarà capace di sconfiggere certe malattie ora incurabili.
Sicuramente i miei maestri nell’attività clinica e nella ricerca mi sono stati di guida. I miei pazienti e i miei studenti sono stati e sono tuttora fonte di grande ispirazione e motivazione soprattutto nei momenti difficili. La mia famiglia e i miei affetti più cari sono da sempre un supporto importante.
Non sopporto tutte le frasi con accezione negativa.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo”. E’ una frase di Walt Disney.
Tantissimo! Non solo nella vita professionale ma anche nella quotidianità. Ad esempio nel tennis, sport che amo, penso che la logica e il ragionamento strategico siano importanti almeno quanto la preparazione fisica.
Gli stereotipi di genere più difficili da combattere sono quelli che abbiamo dentro di noi, con noi stessi, a volte anche senza accorgercene. Penso che la chiave per combatterli sia “essere ed esserci”. Essere significa consapevolezza di noi stessi, di quello che siamo, della bellezza che è in noi, del capolavoro che rappresentiamo come singoli nella nostra identità. Esserci vuol dire presenza. Soprattutto negli ambienti professionali in cui ci sono prevalenze di un genere e forti stereotipi, è fondamentale che chi è “da solo” non si senta mai “solo”. Esserci è consapevolezza dell’altro.
Essere coraggiosi nonostante la paura. Credere nelle proprie capacità. E non smettere mai di avere sogni, meglio se grandi, e dare tutto, tutto, tutto, per realizzarli. Tanto dipende da noi, dalle nostre capacità, dal nostro duro lavoro e sacrificio, da come ci rialziamo dopo le cadute e da quanto continuiamo a credere e a crederci.
Il successo è realizzare quello per cui siamo stati creati. Credo che ciascuno sia in questa in vita per una ragione, per una “missione”. Cercarla, capirla e realizzarla al meglio, è il successo per me.
Grazie Chiara!
Caricamento in corso...
Caricamento in corso...