Intervista a Marina Cabrini per Il Mese delle STEM 21 ago 2017

Marina Cabrini

Oggi intervistiamo Marina Cabrini, che ha trovato la sua fonte di ispirazione innanzitutto in suo padre “che non ha mai avuto problemi ad assecondare le mie curiosità e i miei interessi anche quando non erano del tutto “femminili”, e mia madre, che non ha mai smesso di spronarmi a migliorarmi e ad “andare oltre””.

Marina Cabrini fa parte di tutte quelle #ragazzeSTEM che hanno seguito le loro passioni e sono oggi esempi di leadership femminile. Ecco cosa ci ha raccontato di lei e della sua esperienza con le materie STEM.

Marina Cabrini si presenta così:

Mi chiamo Marina Cabrini e di professione sono consulente informatica, definizione molto vaga per dire che nel mio lavoro mi dedico a molte cose, in primis faccio parte di diverse commissioni italiane ed europee per la definizione dei contenuti di certificazioni informatiche (quali la Patente Europea del Computer, ECDL) e sono membro della Task Force del CEPIS denominata “Women in ICT” che si occupa della promozione della presenza femminile in ambito ICT.

Sin dagli anni dell’Università mi occupo anche di tradurre materiale informatico, che spazia da libri divulgativi dedicati a diverse applicazioni, a volumi universitari, alla localizzazione di software. Sono stata inoltre autrice, insieme al mio socio e marito, di diversi volumi sempre di carattere informatico.

Attualmente sono socia insieme a mio marito di uno studio professionale informatico a Lugano, dove viviamo da quasi dieci anni.

Intervista a Marina Cabrini

Quale Liceo hai scelto?

Ho frequentato il Liceo Linguistico “A. Manzoni” di Milano; se non fossi stata accettata, mi sarei iscritta al Liceo Scientifico.

Quale era la tua materia preferita al Liceo?

Non era una sola materia: amavo particolarmente le lingue straniere, matematica e le materie scientifiche.

Quale Università hai frequentato e perché?

Dopo aver completato il liceo ho deciso di iscrivermi a Scienze dell’Informazione, ora Informatica, all’Università Statale di Milano. Eravamo ancora nel periodo iniziale della diffusione delle facoltà informatiche in Italia, ricordo che Milano era all’epoca la terza o la quarta attivata in Italia, grazie al Prof. Giovanni Degli Antoni.

Se potessi tornare indietro nel tempo, chi vorresti conoscere?

Ettore Majorana: ho sempre desiderato capire cosa gli fosse successo e dove e perché fosse scomparso.

Chi ti ha ispirato e guidato nella tua carriera?

Innanzitutto mio padre, che non ha mai avuto problemi ad assecondare le mie curiosità e i miei interessi anche quando non erano del tutto “femminili”, e mia madre, che non ha mai smesso di spronarmi a migliorarmi e ad “andare oltre”. E poi ovviamente c’è stato e c’è tuttora mio marito, con cui condivido vita e lavoro da quando, vent’anni fa, abbiamo fondato insieme una piccola azienda, poi chiusa dopo una decina di anni quando abbiamo iniziato una nuova avventura all’estero. Attualmente operiamo insieme in un piccolo studio professionale di due soli soci, noi due.

Una frase che non sopporti?

“È troppo difficile per te che sei una donna”. Mi fa decisamente infuriare.

Una frase che ripeti spesso?

“Attento a quello che chiedi, potresti ottenerlo”. Molte volte i clienti non hanno idea di cosa stiano realmente chiedendo.

Quanto hanno contribuito le tue conoscenze logico – matematiche nella tua carriera?

Sicuramente molto. Alcuni dei progetti più interessanti che ho affrontato richiedevano capacità di analisi e di sintesi, ad esempio per aiutare clienti che erano già passati per proposte di soluzioni tradizionali che non avevano avuto successo. Queste stesse conoscenze sono anche estremamente utili sia nella vita di ogni giorno, per analizzare e risolvere i problemi piccoli e grandi che posso incontrare,
sia quando ho deciso di intraprendere una strada nuova. Ad esempio quando ho iniziato a studiare una nuova lingua straniera o mi sono iscritta a un Master di perfezionamento vent’anni dopo la mia laurea.

Cosa fare per scoraggiare il fenomeno degli stereotipi di genere?

Si deve cambiare la mentalità generale. Finché ci saranno madri e padri che considereranno le figlie femmine meno dotate dei figli maschi nelle discipline scientifiche solo in quanto femmine, o i figli maschi non abbastanza uomini se interessati a discipline artistiche, non si riuscirà a uscire dall’impasse. Le attività che sto svolgendo attraverso AICA in Italia e la task force “Women in ICT” del CEPIS in Europa si pongono come obiettivo di lavorare nelle scuole, nelle università e sul lavoro per spingere quel cambiamento di mentalità necessario a considerare ogni singola persona in base alle sue attitudini e competenze e non in base al suo genere.

Oggi fra i giovani la paura più grande è non riuscire a realizzarsi. Qual è il tuo consiglio?

Insistere, non farsi demoralizzare dalle sconfitte e usarle invece per capire quali sono state le condizioni del fallimento. Non pensare mai che le generazioni che li hanno preceduti non abbiano mai dovuto darsi da fare per raggiungere i risultati desiderati: tutti siamo stati giovani e tutti abbiamo avuto paura di non farcela. Ma poi ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati avanti.

Cos’è il successo per te?

Il successo è qualcosa di molto personale. La realizzazione di un progetto piccolo o grande in cui crediamo e per il quale si sono spese forze e fatica. In alcuni casi tuttavia un riconoscimento pubblico può essere di grande aiuto nella realizzazione di progetti di ampio respiro che impattano sulla vita degli altri.

 

Grazie Marina!

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