Intervista a Sara Zamperlin: psicologia e matematica a braccetto 18 dic 2017

Sara Zamperlin

“Con la matematica mi sono sempre divertita e credo di averne guadagnato una certa concretezza”.

Così Sara Zamperlin descrive il suo rapporto con la matematica. Ecco un’altra delle tante donne intervistate per redooc.com da cui attingere consigli preziosi. Psicologa psicoterapeuta, di formazione prettamente umanistica, non ha mai trascurato l’importanza delle materie scientifiche, che tuttora la aiutano nella gestione del suo lavoro. La sua testimonianza insegna a tutte le donne a credere in sé stesse e a impegnarsi al massimo per perseguire le proprie passioni!

Sara Zamperlin si presenta così:

Mi chiamo Sara Zamperlin, sono psicologa psicoterapeuta. Sono nata nel 1980. Dopo la laurea in psicologia ho frequentato una scuola di specializzazione in psicoterapia ad indirizzo psicanalitico e un corso di specializzazione sulla terapia di coppia. Sono una libera professionista. Amo molto il mio lavoro e sono appassionata di cinema e comunicazione. Qualche anno fa ho provato a unire queste passioni creando il blog “Una psicologa davanti allo schermo”, in cui rifletto su alcuni temi grazie a film che ho apprezzato, e da un po’ di tempo ho aperto un canale YouTube, con lo stesso nome, in cui parlo di psicologia e cinema, ma anche di altre cose.

Intervista a Sara Zamperlin

Quale liceo hai scelto?

Prima di iscrivermi a psicologia ho frequentato il liceo classico.

Quale era la tua materia preferita al liceo?

Le mie materie preferite erano italiano e filosofia, anche se con la matematica (solo con la matematica, non con tutte le materie scientifiche!) mi sono sempre “divertita”. L’ho sempre compresa senza grossa fatica e gli esercizi mi sembravano più simili a dei giochi che a dei compiti veri e propri.

Quale Università hai frequentato e perché?

L’idea di iscrivermi alla facoltà di psicologia c’era da un po’. Oggi posso dire che quest’idea era basata su un’immagine piuttosto vaga e, come diciamo noi psicologi, “idealizzata”, di quello che sarebbe stato poi il mio lavoro. Ignoravo totalmente che cosa davvero avrebbe comportato, negli anni, questa scelta.

Ho dato l’esame di maturità nel 1999, il primo anno della “maturità nuova”, che, tra le varie innovazioni, all’epoca non molto gradite agli studenti, comportava anche quella di produrre una tesina su un argomento “interdisciplinare” o comunque che collegasse vari argomenti di materie diverse attraverso un “filo rosso”. Visto il mio interesse per la psicologia, la mia tesina è stata proprio sulla psicanalisi e sulla sua risonanza culturale e letteraria, cioè su come la nascita della psicanalisi ha influenzato la cultura e la letteratura dell’epoca. Quegli argomenti non erano stati trattati nei vari programmi, ma, guidata dai suggerimenti dei vari professori, mi sono avventurata nella lettura di Freud, Svevo e Joyce. Quello che ho scoperto mi è piaciuto tantissimo e quando si è trattato di confermare la mia scelta universitaria (in realtà dopo aver messo anche in discussione l’idea stessa dell’università), non ho avuto dubbi su quale facoltà scegliere.

Devo però dire che la vera scelta di “che cosa fare da grande” per me ha coinciso non tanto con la scelta universitaria, ma con la decisione di proseguire gli studi con la specializzazione in psicoterapia, che ha aperto un nuovo capitolo della mia vita e ha cambiato il mio modo di guardare le cose. Quello che mi motivava a diventare una psicoterapeuta era il desiderio di aiutare le persone a vivere la loro vita più liberamente. Questa idea, nel mio lavoro, c’è ancora, ma quello che poi è successo è che questo tipo di formazione e questo tipo di lavoro hanno aiutato anche me a vivere più liberamente.

Se potessi tornare indietro nel tempo, chi vorresti conoscere?

Sarà banale, ma vorrei incontrare Freud. Vorrei capire che tipo di persona era Sigmund, al di là del Freud che conosciamo, e vorrei chiedergli se abbiamo capito davvero cosa pensava o se abbiamo travisato qualcosa. Poi vorrei parlare con lui delle evoluzioni della psicoanalisi e delle scoperte scientifiche di questi anni.

Chi ti ha ispirato e guidato nella tua carriera?

Non mi viene in mente qualcuno che mi abbia ispirata nel senso di un “modello da imitare”, ma, se devo pensare a delle figure significative nel mio percorso, mi vengono in mente alcuni insegnanti, ma soprattutto il mio professore di storia e filosofia del triennio. Viveva il suo lavoro con grande passione, aveva lasciato una carriera in azienda per insegnare, ci ha insegnato la bellezza dell’essere responsabili del mondo in cui viviamo e sapeva sostenere i suoi studenti. Riguardo a quest’ultimo punto, ricordo in particolare un discorso che ha fatto a me e ad altre compagne verso la fine dell’ultimo anno, richiamandoci a credere in noi stesse e a puntare in alto nei nostri percorsi universitari. A posteriori, credo che quelle parole, che cadevano per me in un momento in cui stavo anche mettendo in discussione la possibilità di proseguire negli studi, siano state piuttosto determinanti nell’aiutarmi a ritrovare la motivazione.

Una frase che non sopporti?

Non mi viene in mente una frase specifica, ma quello che non sopporto è quando qualcuno mi dice qualcosa solo per assecondarmi, ma è chiaro fin da subito che questa cosa non è vera o che non farà quello che mi sta dicendo.

Una frase che ripeti spesso?

Mi dicono che ripeto spesso espressioni come “con questa cosa bisogna farci i conti” oppure “dipende da quello che poi fai con questa cosa”. L’idea che vorrei esprimere è che la nostra situazione, in generale, non dipende solo da quello che ci capita, magari nostro malgrado, ma da come poi ci comportiamo a partire da quella situazione, ma mi rendo conto che a volte queste espressioni possono risultare un po’ generiche.

Quanto hanno contribuito le tue conoscenze logico – matematiche nella tua carriera?

Credo di non avere grandissime conoscenze logico-matematiche, ma quello che credo mi abbia aiutata, sia durante gli studi che nella mia attività lavorativa, è il fatto di non aver mai trascurato la loro importanza. Mi spiego meglio. A scuola e all’università mi applicavo alle materie “matematico-scientifiche” con lo stesso impegno con cui mi dedicavo alle materie che mi appassionavano di più, che erano invece quelle umanistiche (prima) e psicologiche (poi). Credo di averne guadagnato una certa “concretezza”, che mi è tornata utile quando, da libera professionista, ho dovuto farmi carico non solo della parte “operativa” del mio lavoro di psicologa e psicoterapeuta, ma anche di tutto ciò che ci ruota intorno, ad esempio la parte di gestione della contabilità, la parte “promozionale” etc…

Cosa fare per scoraggiare il fenomeno degli stereotipi di genere?

Credo che la prima cosa che tutti noi possiamo fare è provare a renderci conto di tutte le volte che facciamo una generalizzazione, non solo legata al genere. Gli stereotipi di genere sono una manifestazione di una tendenza più ampia a incasellare le persone in categorie predefinite che apparentemente ci rassicurano, ma che invece non ci permettono di conoscere davvero l’altro. Dovremmo allenarci a far suonare una sorta di “campanellino interiore” tutte le volte che ci facciamo un’idea di qualcuno sulla base di una sua sola caratteristica o della sua appartenenza a una categoria di persone.

Per quanto riguarda gli stereotipi di genere, credo poi che ognuno di noi debba riflettere su quali siano gli stereotipi che si porta dietro riguardo al proprio genere. Quante volte, ad esempio, ci priviamo di qualcosa solo perché non la riteniamo adatta a noi in quanto donne? Se cominciassimo da noi stesse a contraddire gli stereotipi, aiuteremmo anche gli altri a ridimensionarli. Questo non vuol dire che dobbiamo fare delle cose solo per contraddire vecchi stereotipi, ma che se ci neghiamo la possibilità di farle solo perché non conformi a una certa idea di donna, allora stiamo contribuendo al mantenimento di quel modello di donna, magari irrealistico e anacronistico.

Oggi fra i giovani la paura più grande è non riuscire a realizzarsi. Qual è il tuo consiglio?

Quello che mi viene da dire è che è importante non legare la propria realizzazione come persone al raggiungimento di risultati o traguardi predefiniti. È importante perseguire la propria realizzazione, ma per riuscire a viverla davvero credo sia necessario essere disposti a rimaneggiare l’idea che si ha in testa per fare i conti con i limiti che poi concretamente si incontrano nella vita (in termini psicologici direi “rinunciare all’idealizzazione”). Altrimenti si rischia di non godere di ciò che si riesce a realizzare, perché lo si confronta continuamente con un’immagine ideale e spesso irrealistica di quello che “sarebbe dovuto essere” e, magari, si rischia anche di precludersi delle opportunità solo perché non in linea con quell’immagine.

Cos’è il successo per te?

Riuscire a fare in modo che il proprio lavoro sia occasione non solo per procurarsi un guadagno sufficiente a vivere con certa serenità, ma anche per esprimere se stessi dal punto di vista umano e personale e per diventare persone migliori.

Grazie Sara!

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