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Vita da scienziate… all’estero
Quanto è importante un’esperienza di studio o di lavoro all’estero? Il liceo classico ti “rallenta” in una facoltà scientifica? Come si fa a diventare ricercatrice?
Nei mesi scorsi Redooc si è occupato di intervistare numerose donne, esempi di leadership femminile, con un diverso rapporto con le materie STEM.
Oggi ho il piacere di intervistare Marianna Zipeto e Silvia Ripamonti, due brillanti giovani donne che negli ultimi anni hanno rivoluzionato la loro vita, lasciando amici e famiglia per trasferirsi all’estero e lavorare nel mondo della ricerca.
Due percorsi iniziati in maniera molto simile, che hanno però preso direzioni totalmente diverse. Un esempio per le studentesse che vogliono intraprendere questo lavoro e la dimostrazione di come con lo studio, la tenacia e la voglia di fare due “classiciste” possano diventare brillanti menti scientifiche!
Si presentano così:
Marianna: dopo una breve esperienza all’Università di Yale, nel 2010 ho iniziato il Dottorato in Medicina Traslazionale e Molecolare all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Sono tornata negli Stati Uniti a completare il mio dottorato dove sono rimasta a lavorare anche dopo gli studi. Le mie ricerche sulle cellule staminali leucemiche mi hanno permesso di collaborare con un’azienda farmaceutica per lo sviluppo di un nuovo farmaco. Oggi vivo a San Diego e sono Study Director presso Crown Bioscience. Ho abbandonato il bancone del laboratorio e le provette per una posizione manageriale e di relazioni esterne.
Silvia: nel 2010 ho iniziato con Marianna il Dottorato in Medicina Traslazionale e Molecolare all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. A differenza sua però ho completato i miei studi al Max Planck Institute for Experimental Medicine a Goettingen (Germania), dove vivo e lavoro anche ora. Il mio focus sono le neuroscienze. Un argomento molto interessante ma allo stesso tempo molto impegnativo.
Quale liceo avete frequentato e perché?
M: Liceo Classico. Sognavo di diventare una giornalista, ma l’idea si è persa durante gli anni.
S: Liceo Classico. Ero convinta che fosse la scuola in grado di darmi la preparazione migliore.
Qual era la vostra materia preferita al liceo?
M: Chimica
S: Biologia
Quale università avete scelto di frequentare e perché?
M: Università degli Studi di Milano-Bicocca, facoltà di Biotecnologie. Durante il liceo avevo sviluppato un amore per chimica e biologia. Mi sembrava la scelta più adatta per specializzarmi in entrambe.
S: Stessa facoltà di Marianna. Ero curiosa di capire i meccanismi che permettono a noi esseri umani di “funzionare”.
Aver frequentato il liceo classico vi ha penalizzate negli studi universitari prettamente scientifici?
M: No, a parte uno svantaggio iniziale in materie come matematica e fisica. Il metodo di studio sviluppato al liceo classico mi ha però aiutato a colmare in breve tempo le lacune, portandomi allo stesso livello dei miei compagni di corso che arrivavano dallo scientifico.
S: No, per due motivi principali. In primis il liceo classico ti insegna a gestire carichi di studio elevati. Inoltre la conoscenza del latino e del greco mi ha fornito una guida per comprendere l’etimologia di molte parole che ricorrono nel lessico scientifico.
Dopo la laurea il dottorato all’estero. Come mai questa scelta?
M: La ricerca all’estero ha molte più possibilità rispetto all’Italia. Purtroppo qui in Italia la mancanza di fondi e di risorse limita le potenzialità di successo per il singolo e per la scienza.
S: È stata una scelta dettata dalla voglia di fare un’esperienza nuova e di mettermi in gioco. Inoltre per chi fa ricerca le esperienze internazionali sono un requisito importante.
In ambito scientifico è più facile fare carriera all’estero?
M: Si, decisamente! All’estero ci sono molte più possibilità, non solo in termini di fondi per la ricerca ma soprattutto in termini di varietà di posizioni, soprattutto al di fuori dell’ambito accademico.
S: Non credo sia più facile fare carriera all’estero che in Italia. La competizione è alta in entrambi i casi.
Che differenze ci sono con l’Italia secondo voi?
M: In primis la disponibilità di fondi e la varietà di borse di studio. Poi l’informazione. Negli Stati Uniti chiunque partecipa a seminari e conferenze, non solo gli scienziati. Inoltre ciò che manca in Italia è la continua comunicazione e collaborazione fra aziende e mondo accademico.
S: All’estero sicuramente la ricerca è meno sottovalutata. Ci sono più possibilità e più finanziamenti per poter lavorare. Più meritocrazia.
La cosa più bella e quella più brutta del lavoro di ricercatrice?
M: La cosa più brutta è la frustrazione. Non esiste diretta proporzionalità fra il tempo dedicato a un progetto e i risultati ottenuti. Spesso mesi di lavoro si concretizzano nell’ennesimo fallimento. La cosa più bella è la sensazione nel vedere che di colpo tutti i tasselli del puzzle iniziano ad incastrarsi e finalmente riesci a rispondere alle domande che ti sei posto…per anni!
S: La cosa più brutta è l’alto livello di stress e i pesanti ritmi lavorativi. Non esistono sabati e domeniche e le giornate lavorative possono essere anche di 12 ore. La cosa più bella è la soddisfazione di contribuire, seppur in piccola parte, al sapere scientifico. Quando ottieni dei risultati, dopo tanto lavoro e fatica, ti senti appagata.
Si dice che il mondo delle scienze sia dominato dagli uomini. É vero? Cosa fare per scoraggiare il fenomeno degli stereotipi di genere?
M: Sì è vero, ma penso che si possa già intravedere una tendenza verso il cambiamento. Il miglior modo per scoraggiare questi stereotipi sia fornire elementi concreti: produttività, passione e comunicazione! Perseveranza e determinazione possono aiutare una donna a guadagnarsi una certa reputazione nel campo.
S: In parte è vero. Se si guarda alle posizioni di PI (Principal Investigator), la maggior parte sono occupate da uomini. Il miglior modo per scoraggiare questi fenomeni è far bene e far meglio degli uomini. Siamo decisamente brave in questo!
Cos’è il successo per voi?
M: Avere un lavoro per cui sono contenta di svegliarmi al mattino, che stimoli ogni giorno la mia curiosità e che mi permetta di crescere personalmente e professionalmente. Il successo è anche la capacità di cambiare, mettersi in gioco per raggiungere i propri obiettivi. Non è mai troppo tardi per reinventarsi e raggiungere la propria felicità ed è sempre importante mantenersi aperte mille possibilità e pensare ad un piano B, C, D…Z!
S: il successo è star bene con sé stessi in quello che si fa. Sembra banale e scontato ma è la cosa più difficile da raggiungere.
E voi come ve la immaginavate la vita delle scienziate?
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