L'esperimento di Compton
L’esperimento di Compton è definito esperimento zero perché è interpretabile inequivocabilmente; i fotoni esistono veramente e interagiscono con gli elettroni singolarmente.
L’apparato sperimentale di Compton era formato da:
- un tubo a raggi X che, attraversando un monocromatore e un collimatore, rendeva il fascio monocromatico e parallelo con £$\lambda= 7,09 \cdot 10^{-11} \ m$£
- un bersaglio di grafite
- un rilevatore di raggi X.
Il raggio monocromatico e parallelo colpiva il bersaglio di grafite e diffondeva a diversi angoli £$\alpha$£. La radiazione diffusa veniva catturata dal rilevatore e i valori inseriti in un grafico.
Dalle osservazioni sperimentali si notò che, per £$\alpha=90°$£, una piccola porzione di radiazione aveva una lunghezza d’onda media maggiore della radiazione incidente il blocco di grafite. Come si può notare anche dal grafico a fianco, £$\lambda’=7,31 \cdot 10^{-11} \ m$£, ciò significa che si ha una variazione di lunghezza d’onda di £$0,22 \cdot 10^{-11}$£ rispetto alla radiazione incidente. Dalle evidenze sperimentali ci si aspettava una minima variazione di ampiezza dell’onda diffusa, ma non della sua intensità! Altre prove sperimentali dimostrarono che questa £$\Delta \lambda$£ non dipendeva né dal materiale del bersaglio, né dalla lunghezza d’onda della radiazione impiegata nell’esperimento. Da cosa dipende allora? Dove finisce l’energia dispersa sottoforma di lunghezza d’onda?