Sotto la spinta della Seconda Rivoluzione Industriale, la scelta di abbandonare le campagne “in cerca di fortuna” sarà un motivo ricorrente anche nel secolo successivo.
È appunto agli inizi del Novecento che facciamo risalire i fenomeni di urbanizzazione e concentrazione. In città si concentrano persone, edifici, mezzi di trasporto e vie di comunicazione, ma anche la maggior parte delle attività umane e degli scambi di beni e informazioni.
All’interno dei centri urbani la società assume una struttura definita: ogni bisogno o esigenza del singolo può trovare il suo soddisfacimento all’interno della città stessa. Siamo di fronte a un organismo autosufficiente. Questo tuttavia non viene letto dall’uomo con soddisfazione, ma viene vissuto con un senso di oppressione.
Negli stessi anni in cui Calvino esprime questo senso di disorientamento attraverso la figura di Marcovaldo, nelle case degli italiani, sul giradischi suona Adriano Celentano.
Il ragazzo della via Gluck (1966) racconta la prepotenza di una città che inghiottisce la campagna, distruggendone la bellezza. Secondo Celentano, “difendere la natura non può che essere rock” ed è questo che fa il protagonista della canzone: con il cuore spezzato lascia la campagna e la vita all’aria aperta, per “respirare il cemento del centro”. L’unica consolazione è la prospettiva di un futuro più roseo e la possibilità di poter tornare un giorno a casa. Con grande amarezza tuttavia anche in campagna l’erba lascia il posto al progresso: “La dove c’era l’erba ora c’è una città”, afferma il ritornello, “e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà?”.