Prerequisiti per affrontare la lezione sulla letteratura italiana tra Duecento e Trecento
Per affrontare la lezione sulla letteratura italiana tra Duecento e Trecento è necessario conoscere:
Tra Duecento e Trecento in Italia si sviluppano diverse correnti poetiche in volgare, mentre la prosa scopre la novella oltre ai libri di viaggio e ai trattati sulle città.
A seconda dell'area geografica, la poesia assume in Italia tra Duecento e Trecento forme e funzioni diverse: c'è la poesia religiosa in Umbria, quella d'amore in Sicilia alla corte di Federico II da cui deriva anche la poesia siculo-toscana, c'è lo Stilnovo di Guinizzelli, Dante e Cavalcanti e la poesia comico-realistica di Angiolieri.
E il volgare comincia a essere usato anche nella prosa, per novelle e libri di viaggi.
Per affrontare la lezione sulla letteratura italiana tra Duecento e Trecento è necessario conoscere:
Nella mappa mentale trovi le diverse correnti poetiche che si affermano in Italia nel Duecento:
Il volgare viene usato anche nella prosa, in diversi generi:
Non mancano però le opere in latino, come il trattato sulla città di Milano scritto da Bonvesin de la Riva.
Il Cantico delle creature o Cantico di Frate Sole è il primo testo poetico della letteratura italiana di cui si conosce l'autore. Lo compose Francesco d'Assisi nel 1224.
Appartiene al filone della poesia religiosa in cui si canta la lode di Dio. Francesco lo fa attraverso l'esaltazione della bellezza del creato, che è immagine del Creatore e con il quale l'uomo vive in rapporto di fratellanza.
Il componimento è una lauda formata da 12 strofe in versi liberi e sciolti.
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Nel XIII secolo presso la corte siciliana dell'imperatore Federico II di Svevia si afferma una produzione poetica in volgare italiano, che si ispira alla lirica amorosa dei trovatori provenzali.
Molti dei poeti della cosiddetta scuola siciliana erano giudici, magistrati, segretari della corte di Federico II. Jacopo da Lentini, per esempio, era notaio e infatti viene menzionato con il soprannome di "Notaro": è considerato il caposcuola e l'inventore del sonetto.
La poesia della scuola siciliana estende la sua influenza raggiungendo anche la Toscana, dove alle tematiche amorose si aggiungono quelle civili e il volgare toscano ha la meglio su quello siciliano. È da questi modelli che scaturirà il "Dolce stil novo" che prenderà però le distanze dalla poesia precedente per lo stile e la ricercatezza.
Il "dolce stil novo"prende il nome da alcuni versi del XXIV canto del Purgatorio di Dante.
Qui Dante immagina di incontrare tra i golosi il poeta Bonagiunta Orbicciani, esponente del vecchio gusto poetico, che gli chiede se è lui l'iniziatore del nuovo modo di fare poesia. Dante risponde che quello che scrive è dettato dall'amore e Bonagiunta dice di aver capito allora la differenza tra la Scuola Siciliana di Jacopo da Lentini e la poesia siculo-toscana di Guittone d’Arezzo e il "dolce stil novo ch’i’ odo".
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L'iniziatore dello Stilnovo fu in realtà il bolognese Guido Guinizzelli e la principale novità rispetto alla poesia precedente riguarda non tanto i temi quanto lo stile, caratterizzato da una dolcezza di suoni ottenuta attraverso un'accurata scelta dei vocaboli.
Nella scheda trovi un famosissimo sonetto di Guido Guinizzelli, in cui loda la sua donna celebrando dapprima la sua bellezza e poi gli effetti benefici e salvifici del suo passaggio e saluto.
La lode della donna amata, quindi, non riguarda solo il suo aspetto fisico, che non viene descritto, ma solo esaltato attraverso similitudini con fiori, stelle e gioielli preziosi. Il poeta mette in evidenza la nobiltà d'animo della donna e la sua influenza benefica sugli uomini che incontra, che vengono purificati e convertiti dal suo saluto. Nel termine "saluto" c'è molto più del semplice gesto di salutare, c'è il potere salvifico della donna, dal latino dare salutem.
È così che l'amore, per i poeti stilnovisti, assume una connotazione religiosa che si concretizza nella figura della donna-angelo.
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A differenza del sonetto di Guinizzelli, che descrive gli effetti salvifici della donna amata, in Voi che per gli occhi mi passaste ‘l core Cavalcanti descrive l'esperienza amorosa come angosciosa, crudele e distruttiva. La terzina conclusiva del sonetto si chiude con la morte metaforica del cuore del poeta: questo simboleggia che la passione amorosa ha un effetto negativo sull'uomo perché gli impedisce di elevarsi al di sopra della sfera sensoriale verso la conoscenza intellettuale.
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S'i' fosse foco è un sonetto di Cecco Angiolieri, massimo rappresentante della poesia comico-realistica toscana del Duecento. Il linguaggio popolare, il registro basso e il tono scherzoso, che non disdegna il ricorso all'oscenità, ne fanno un genere in contrapposizione rispetto alla lirica siciliana e allo Stilnovo.
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