suono duro velare davanti alle vocali A, O e U (carta, gola, culla), davanti a consonante, davanti alla H (chela, ghiro) e in fine di parola;
suono dolce palatale davanti alle vocali E e I (gelo, cibo);
Ci sono poi alcune parole come cielo e igiene che si scrivono con la I tra la consonante e la vocale E, ma attento ai derivati di cielo che invece non la vogliono.
Resta ancora qualche regola da ricordare a proposito della C e della G e dei plurali di alcuni nomi un po’ antipatici:
i nomi che finiscono in -cia e -gia conservano la I al plurale se prima di -cia e -gia c’è una vocale (camicia-camicie, valigia-valigie), la perdono se invece c’è una consonante (pancia-pance, pioggia-piogge);
i nomi che terminano in -co e -go possono avere il plurale in -ci/-gi (medico-medici, archeologo-archeologi) o in -chi/-ghi (bruco-bruchi, ago-aghi).
La H
La H è una lettera muta, ma non puoi dimenticarti di scriverla:
all’inizio di alcune parole straniere entrate nel vocabolario italiano come hobby, hip hop, happy hour;
per rendere duri i suoni di C e G davanti a E e I formando i digrammi CH e GH (ghepardo e chioma);
nelle tre persone singolari dell’indicativo presente di avere e nella terza plurale: io ho, tu hai, egli ha ed essi hanno si scrivono infatti con l’H davanti per non confondersi con la congiunzione o, le preposizioni ai e a e il nome anno;
nelle esclamazioni proprie come ahi, ehm, ih, ohibò, uh.
La Q
Facciamo un po’ d’ordine per eliminare la confusione nell’uso di cu, qu e cqu:
si usa la Q se la U è seguita da una vocale (quercia), la C se dopo la U c’è una consonante (cura);
ci sono parole come cuore, cuoco, scuola, circuito, innocuo, proficuo, scuotere e altre ancora che non rispettano la regola e vogliono la C anche se la U è seguita da una vocale;
si scrivono con cq tutte le parole della famiglia di acqua e anche qualcun’altra come acquisto, nacque, piacque…;
vuole infine la doppia Q soltanto la parola soqquadro, mentre taccuino si scrive con due C.
Le doppie
Molte consonanti possono essere pronunciate con diversi gradi di intensità:
tenue come in pala e note;
intenso come in palla e notte.
Le doppie servono quindi per indicare nello scritto la pronuncia intensa di una consonante.
Ci sono però dei casi in cui le consonanti non si possono raddoppiare:
quando si trovano a inizio di parola;
quando la B si trova davanti a -ile, come in affidabile, mobile e stabile;
quando la G si trova prima di -ione come in ragione, stagione e religione;
quando la Z forma le sequenze zia, zie e zio come in polizia, grazie, azione e tante altre parole. Fanno eccezione nomi come pazzia e razzia, aggettivi come razziale e alcune voci dei verbi in -zzare come organizziamo, analizziamo e spazziamo.
GN, GL e SC
Ripassiamo alcune particolarità dei digrammi e dei trigrammi che possono generare antipatici errori ortografici:
il suono del digramma GN assomiglia a quello di NI, ma l’animale che tesse la tela si chiama ragno con GN e non ranio. A differenza del digramma GL, GN non è mai seguito dalla vocale I, con l’eccezione della parola compagnia dove la I è accentata e di alcune forme dei verbi in -gnare e -gnere;
il suono del trigramma GLI + vocale non va confuso con la scrittura LI: se ordini al ristorante una pasta aglio e olio, per esempio, noterai che sul menù aglio è scritto con GLI e olio con LI;
il trigramma SCI precede la vocale E solo in scienza, coscienza e nei loro derivati. Adolescenza, conoscenza e tutte le altre parole in cui compare questo suono si scrivono con il digramma SC seguito direttamente dalla E.
L’accento grafico deve sempre essere segnato sulle parole tronche di due o più sillabe. Ma come si comportano i monosillabi?
I monosillabi che finiscono con più di una vocale vanno scritti con l’accento con l’eccezione di qua e qui: Esempi: ciò, cioè, già, giù, più, può…
Alcuni monosillabi hanno due forme, una accentata e l’altra no, con funzioni e significati diversi. Studiali nella tabella a lato.
Come vedi, in alcuni casi invece dell’accento bisogna usare l’apostrofo. Si tratta del segno che indica che è avvenuta l’elisione, cioè la caduta della vocale finale di una parola davanti alla vocale iniziale della parola successiva. Gli esempi sono tanti, ma bisogna fare attenzione a non confondersi con il troncamento, che non vuole l’apostrofo se non nei casi di po’ (poco), mo’ (modo) e degli imperativi da’, di’, fa’, sta’ e va’.
Ci sono alcune espressioni che possono generare un po’ di confusione a proposito dell’uso dell’apostrofo. Si tratta di pronomi e particelle pronominali usati in unione con alcune voci dei verbi essere e avere e che richiedono un po’ di attenzione in più per chi scrive.
Vediamole nella tabella per eliminare ogni dubbio. Per stampare la scheda, scarica il pdf qui:
Il troncamento (o apocope) è la caduta di una vocale o di una sillaba in finale di parola che si verifica indipendentemente da come comincia la parola successiva.
L’unica condizione che lo impedisce è che la parola seguente inizi per S impura (cioè seguita da un’altra consonante), X, Z, GN o PS.
A differenza dell’elisione questa caduta non si lascia alle spalle il segno dell’apostrofo.
Il troncamento avviene:
con l’articolo indeterminativo maschile uno e i suoi composti (un attimo, qualcun altro);
con tale e quale (tal giorno, qual è);
con buono e bene (buon uomo, ben fatto);
con quello, bello e santo seguiti da consonante (quel giorno, bel momento, san Paolo);
con frate, suora , dottore, signore, professore e altri titoli seguiti da nomi propri (fra Cristoforo, suor Teresa, dottor Rossi, signor Ferrari, professor Bianchi);
in espressioni come amor proprio, fil di ferro, in fin dei conti, fior fiore, mal di testa, man mano...